Sono una persona a cui la parola non basta. Quando ho conosciuto la fotografia, mi si è
aperto un mondo, potendo parlare direttamente, avvicinandomi a ciò che vedevo,
oltrepassando la timidezza che mi appartiene. Potendo aggiungere. Essendo visiva e
distratta, mi sento autorizzata a ‘vedere’ con attenzione. Cerco relazioni (tra) e una direzione da seguire. 

Da alcuni anni, la fotografia mi accompagna come linguaggio, alternando momenti bulimici ad altri,
come questo, di silenzio visivo. Vivo nel Delta del fiume Po, con spazi ampi e lentezza: la natura
concede ritmi di ascolto e cambiamenti che non si possono non percepire. Faccio la Psicoterapeuta e
la fotografia è ausilio per non chiedere ulteriore permesso all’intimità, mia e degli altri. 
Fotografare è un bisogno: di riflettere, di rifletter-Si, di attraversare emozioni, di creare memoria senza giudizio.
Credo nella correlazione profonda tra la pratica artistica e la ricerca di sé, integrando la mia forma mentis 
lavorativa e il linguaggio fotografico.
Uso il linguaggio fotografico per prendere appunti. A volte in modo lunatico, altre volte in modo ossessivo: spesso
la nostalgia guida ciò che accade. Parto da uno stimolo, e posso trovarmi altrove, senza averlo previsto. Prediligo 
-nella relazione- temi intimi, racconti, stati d’animo, sguardi. Anche la natura diventa intimità. Sento, oggi,
l’urgenza di uno sguardo che sia rappresentazione di quel ‘qualcos’altro’ che non ho ancora considerato. 

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